
Il 7 dicembre è il trigesimo della scomparsa di Silvano Miniati.
Ho pensato, insieme a Francesco Florenzano, a Graziana Delpierre e a Silvano Sgrevi, di ricordarlo in una ristretta cerchia di amici e compagni, in maniera laica e informale, alle ore 10,30 del 7 dicembre presso l’UPTER in via IV Novembre 157, nel Salone della Presidenza ( III° piano ).
Saremmo felici della tua presenza
Giorgio Benvenuto
Silvano Miniati:
Più di trenta anni insieme, un rapporto forte, una comune passione nell’affrontare sfide sindacali e sociali. Graziana Delpierre ricorda così Silvano Miniati, con la sua energia ideale ma anche molto concreta: “Non diceva… credo, diceva… si fa”.
Come era il suo modo d’essere nella quotidianità?
“Spontaneo e reticente allo stesso tempo. La riservatezza sul suo mondo privato era il suo modo di proteggere sentimenti e convinzioni personali. Invece sui temi politici e sindacali, su quelli sociali era molto aperto, curioso, entusiasta, coinvolgente”.
Questo atteggiamento come si declinava nel rapporto con gli altri, con coloro con cui condivideva battaglie comuni?
“Privilegiava la comunicazione. Per spiegare il suo pensiero, per convincere, per capire le ragioni altrui. Certe volte quando parlava con persone amiche era come se le abbracciasse”.
Silvano ha attraversato fasi importanti della vita politica italiana. Come era il suo rapporto con la politica?
Certamente l’esperienza che lo ha segnato di più è stata quella nel Psiup. Del resto con Vittorio Foa il rapporto è stato molto importante. Le altre, come Democrazia Proletaria, sono state più di carattere movimentista. Con una battuta potremmo dire: più di movimento, meno di ragionamento. Poi, certo, l’impronta più profonda sul piano culturale e politico resta quella del Psi, la matrice vera, inconfondibile. Con l’amarezza di constatare poi la conclusione di quella lunga storia socialista agli inizi degli anni ’90. Il passato però gli era rimasto dentro, le scelte politiche, gli interlocutori, le speranze. Il presente invece lo mortificava, non riusciva a nascondere, talvolta, la rabbia per una vita politica lontana dalla sua sensibilità. E dire che nel Pd ci aveva creduto sul serio, come molti di noi. Non era nemmeno deluso, ma rattristato. Poco propenso a considerare possibili cambiamenti in meglio. Eppure la voglia di politica non lo ha mai abbandonato. Era nel suo Dna.
Silvano Miniati approda alla Uil, prima in Confederazione, poi ai Pensionati di cui diventa il leader in una stagione ricca di novità, di risultati, di mobilitazioni come poche volte si erano viste. Quale era il legame con il sindacato?
Per il sindacato sentiva un attaccamento fortissimo. Ha continuato ad interessarsi alle sue vicende con passione fino all’ultimo. Questa attenzione aveva una spiegazione che andava oltre il legame che si era stabilito in tanti anni di lavoro alla Uil: Silvano riteneva che il movimento sindacale fosse l’unica forza che poteva ancora svolgere un ruolo decisivo nel combattere le diseguaglianze, nel ricreare fiducia vera verso il futuro, nel toglierci insomma da una situazione di declino con pesanti ripercussioni sociali. Ma anche in questo convincimento rispuntava il Miniati politico. Quel Miniati che ha trasferito nella sua esperienza sindacale la forza dei suoi ideali, dei suoi sogni, dei suoi desideri, che avrebbe voluto vedere realizzati nella sua esperienza politica. Questa carica ideale e propositiva la ha poi utilizzata soprattutto nell’impegno che lo ha visto guidare i pensionati della Uilp. La condizione anziana del resto si prestava, con i tanti bisogni inevasi, le inadempienze che complicavano la vita degli anziani, i diritti da affermare”.
Miniati con la Uilp ed assieme alle organizzazioni dei pensionati di Cgil e Cisl specialmente negli anni ’90 ha fatto crescere il protagonismo degli anziani, creando un movimento in grado di imporre alla attenzione della politica questioni sociali ed economiche di grande portata; in grado di influire sulle scelte di riforma…
“Per Silvano l’anziano è una persona viva, una risorsa attuale della società. Può e deve essere considerato al centro della vita collettiva come
quando era un lavoratore, sia pure in modo diverso. Questa è stata la direzione di marcia del suo impegno. Forse l’unico rimpianto è stato per lui quello di non aver visto nascere un sindacato unitario dei pensionati che, sia pure con un legame indissolubile con le Confederazioni, poteva essere uno strumento più efficace per sostenere le ragioni dei pensionati. La stagione delle lotte per pensioni più dignitose, per la sanità, per il diritto all’assistenza domiciliare e a tanti altri, ha dimostrato quanto si poteva fare sul piano dei diritti e delle conquiste concrete. Qualcosa è stato fatto, poi come avviene in Italia su diversi terreni, alle parole non sono seguiti fatti della stessa portata”.
In questo impegno c’erano motivi di orgoglio per Silvano Miniati?
Senza dubbio. Silvano era orgoglioso di tutto quello che mostrava vitalità. Lo era anche di quelle piccole strutture della Uilp che riuscivano sul territorio a fare iniziative utili, ma anche a raccogliere e conservare testimonianze della tradizione popolare, come è stato, ad esempio, per le favole tipiche di questo o quel luogo. E aveva anche una grande attenzione alla capillarità dell’organizzazione. Per lui era fondamentale che ciascuno potesse agire, emergere, collaborare, ritrovare qualcosa di proprio in quello che si andava facendo e costruendo.
C’è un altro capitolo importante dell’impegno di Silvano Miniati, quello della cooperazione internazionale, con iniziative soprattutto nei confronti dell’infanzia, dal Brasile all’Africa…
Ci teneva molto. Utilizzava i suoi contatti, tanti, e la sua capacità di organizzare per realizzare. Così fu per la campagna unitaria volta a inviare vaccini in Mozambico. Così è stato per la riorganizzazione di un dispensario in Camerun nel quale oggi i bambini, molti dei quali orfani, studiano, giocano, imparano piccoli mestieri, sono seguiti in un ambiente accogliente. Bambini che, non dimentichiamolo, erano costretti a sedere sulla nuda terra. Un’esperienza che va proseguita, che spero possa procedere. Non molto tempo fa coinvolse anche la comunità dell’Isolotto in un’iniziativa per il Camerun e in tal modo si ricollegava agli inizi delle sue battaglia politiche, ai tempi nei quali sosteneva la non facile testimonianza di Don Mazzi. E ancora: come dimenticare la realizzazione della radio rurale sempre in quelle zone, anche come elemento di socializzazione? Mentre in Brasile una vecchia fabbrica ristrutturata è divenuta un centro per i bambini della favela in grado di offrire istruzione, svago, attività che li tengono lontani dalla disperazione di situazioni di degrado. Ma, al dunque, anche in questo caso la motivazione di fondo di Silvano era quella di essere vicini agli ultimi, di dare loro l’opportunità di migliorare la propria condizione. Un obiettivo che vale ovunque. Ogni cosa che Silvano faceva aveva questo connotato di solidarietà, di partecipazione, lo sforzo di una persona che in tal modo interpretava un suo disegno unitario di vita”.
Di solito le persone che seguono questa vocazione di disponibilità verso progetti tesi a cambiare, non tengono in gran conto il loro grado di comando, se non per la possibilità di realizzare i loro progetti…
“Diciamola tutta: Silvano non aveva la vocazione al comando, non era nella sua natura, ma il fatto era che gli altri lo riconoscevano come un comandante e lo seguivano, tanta era la convinzione che metteva in quello che faceva”.
Fiducia in quel che faceva e fiducia negli altri…
“Forse perfino troppa negli altri, tanto da difendere sempre tutti anche quando era davvero improponibile farlo. Ma lui era fatto così e lo giustificava in questo modo: «dobbiamo pensare che le persone, le situazioni possono cambiare». Chi gli era più vicino a volte soffriva nel vedere atteggiamenti non certo solidali nei suoi confronti da parte di coloro in cui lui aveva fiducia, ma sapevamo che Silvano non avrebbe ammesso di essersi sbagliato. Gli dispiaceva, ma non lo manifestava.
Ma nell’impegno di Silvano c’era anche un posto rilevante per l’amicizia…
Senza dubbio. Tra i tanti amici voglio ricordare due legami in particolare. Quello con Giorgio Benvenuto e quello con Mario Castellengo. Scherzando qualche volta lo prendevamo in giro dicendogli che aveva due…fidanzati. A chi, come me, osservava Giorgio e Silvano ragionare assieme, immaginare iniziative, discutere su quello che li appassionava, talvolta sembrava quasi che avessero bisogno l’uno dell’altro, che si compensassero a vicenda senza sforzo, pur mantenendo differenze di veduta e anche caratteriali. Progetti, speranze, ideali quando li hai dentro li condividi, li vivi anche in un rapporto profondo di amicizia. Li fai vivere anche così.
Ed il suo mondo di amici, di interlocutori lo seguiva sempre…
Ricordava tutti. Anche quelli dei tempi lontani, dei primi passi nella politica a Firenze. Tutti e tutto. Quando cominciava a raccontare episodi e storie del passato, quando faceva rivivere a chi gli stava vicino i tempi andati, rievocando tanti aneddoti, riusciva ad appassionare chi lo ascoltava. Lo faceva con semplicità, con ironia, senza retorica. Indubbiamente la memoria storica aveva per lui un valore che non si confinava nel ricordo. E non era solo un valore politico, ma conservava anche un sincero, onesto tratto umano. Quello che ha contrassegnato anche il nostro rapporto. Lo dico come se fosse una dedica ad una persona che ha contato tanto nella mia vita: mi ha amato in un modo eccezionale. Con tenerezza, con costanza, senza troppe parole, senza smancerie. Era davvero speciale ed io l’ho amato molto e molto mi manca”.
Testo di Graziana Delpierre